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L'ARTE È CARTA DA PARATI PER RICCHI

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Opere

BBS-pro presenta “L'arte è carta da parati per ricchi”, la nuova mostra dell'artista Giulio Alvigini organizzata in collaborazione con TerraMedia, a cura di Davide Sarchioni.

 

Per un artista come Alvigini, la cui pratica è incentrata sul concetto di “opera-carriera” – ovvero sul tentativo di fare della propria carriera un’opera effettiva e una riflessione metalinguistica su ciò che incornicia l’arte come tale – fare una mostra nello spazio espositivo di uno studio di Dottori Commercialisti e Revisori legali, specializzati anche in gestione e fiscalità della cultura, diventa l’occasione per inscenare una narrazione sul sistema dell’arte e il suo mercato, attraverso la decostruzione di alcuni temi di intersezione tra la produzione artistica contemporanea e la sua commercializzazione: il lavoro e il privilegio.

 

Dissacrante e ironico nei confronti del sistema dell'arte e le sue dinamiche, Giulio Alvigini (Tortona, 1995) è una figura controversa che dice di fare l’artista e passa gran parte del suo tempo facendo meme sull’arte contemporanea che poi pubblica sulla pagina IG @makeitalianartgreatagain. La sua pratica può essere descritta come un’ossessiva ricerca del “fare della propria carriera un’opera d’arte” poiché in ogni suo lavoro egli tenta di sanzionare come artistici tutti quei processi utili alla costruzione di una carriera nel mondo dell’arte, come il percorso e la strategia (o la non-strategia).

“L’arte è carta da parati per ricchi” è una grande installazione site-specific pensata per gli spazi dello studio BBS-pro e si struttura in un percorso circolare simulando quella dimensione autoreferenziale e autoconfermativa tipica del mondo dell’arte, di un’arte che ragiona su se stessa mettendo a fuoco il suo sistema con le isterie e le contraddizioni che lo caratterizzano.

Il percorso è scandito da quattro interventi/opere di una fenomenologia che ritorna a sé, in un impasse frustrante, che si fa debitrice di alcune prospettive filosofiche: il “circolo di circoli” hegeliano con la sua dialettica e l’eterno ritorno nietzschiano nell’infinita spirale che definisce l’andamento della mostra; il “cogito” cartesiano come statuto d’esistenza del collezionista; la lotta socialista e marxista e la sua retorica nella rielaborazione della celebre icona di Pellizza da Volpedo “Quarto Stato” (1868–1907).

 

Dalla lotta al lavoro, al senso di appartenenza fino al privilegio e ricominciando dalla lotta, la mostra si apre con la bandiera, simbolo di scontro ma anche del rischio della caduta nella sua retorica, “Art workers = artworks”, in cui il “Quarto Stato” fa da sfondo a un paragone inusuale: e se fossero i lavoratori dell’arte (quindi il sistema) la vera opera? La lotta, nella sua degenerazione, si trasforma in senso d’apparenza, in esclusività che esclude chi non fa parte della tribù.

Ma quali sono le condizioni necessarie per potersi auto-definire “addetto ai lavori”? Un diaframma composto da una recinzione per cantieri divide fisicamente lo spazio espositivo dallo spazio di lavoro degli uffici tracciando metaforicamente un dentro-fuori tra outsider e iniziati all’arte.

Un processo che deve confermare se stesso nella positività del collezionismo come “sono in quanto colleziono” ma che culmina (o degrada) nel grande intervento che domina la mostra: una grande carta da parati che afferma nel suo statement “l’arte è carta da parati per ricchi”, facendo così coincidere il concetto con la sua forma.

È il riconoscimento del privilegio dell’arte che obbliga a una ricognizione critica che riaggancia la prima opera e riparte in questa spirale nichilista e disillusa che, rifuggendo da ogni anelito utopista e trasformativo, è eternamente condannata a ritornare su se stessa.

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