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MAKE ITALIAN ART GREAT AGAIN

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2018 - in corso

Bibliografia: Cacciottolo G., 2020, pg. 88-89; Alvigini G., 2020, pg. 7, 129, 133; Beatrice L., 2021, pg. 26; Nidiaci G. E. ..., 2021, pg. 34,36-39; Orler C., 2021, pg. 108-109; Riva A., 2022, pg. 114; Cacciottolo G., 2022, pg. 171; Di Giorgio F., 2023, pg. 68-69; Bordignon E. ..., 2023, pg. 16-17; De Luca A., 2023, pg. 47-49, 51,53; Casadio M., 2023, pg. 70-71; Zanella N., 2023, pg. 17.

I meme non sono arte.

Il meme è un linguaggio o più correttamente, è possibile definirlo come “dispositivo linguistico” — che si distingue per caratteristiche peculiari come le capacità di riproducibilità/viralizzazione e di reinvenzione — tra i principali e più efficaci media visuali che meglio interpretano le atmosfere di nevrosi e ironia diffusa in cui è immersa la società contemporanea.

Candidabile a una latente artisticità non è la singola “immaginetta buffa”, incapace di innescare da sola particolari riflessioni (aldilà dell’usuale “effetto Ahah”).

Il paradigma cambia, nel momento in cui si predispone una visualizzazione del meme come categoria, come contenitore di oggetti con proprietà simili: l’insieme e non il singolo, il prodotto collettivo sull’autorialità.

È il “processo memetico” che permette a questo particolare linguaggio di inscriversi e aderire perfettamente a un “sentire” più attuale — tra cui la sua ormai fortunata ascesa al mainstream o “normification”— e di conseguenza la sua più che evidente parentela con modalità, attitudini e teorie già formalizzate nel mondo dell’arte: dalla morte dell’autore alle pratiche situazioniste e processuali, dall’estetica relazionale alla critica istituzionale.

 

Il progetto “Make Italian Art Great Again”  nasce proprio da queste premesse.

Verificate e riconosciute le potenzialità di questo dispositivo linguistico, si dimostrava necessario per la mia pratica — e non privo di fascinazione — tentare di traghettare questo meccanismo estetico nel sistema dell’arte italiano.

Tra la satira e la vignetta, tra il meme e la freddura più populista, quello che ho cercato di fare — sfruttando le potenzialità e la capacità del mezzo (i social network) — è stato costruire un personaggio, una figura fuori dal coro, la caricatura di un comico dell’arte che attraverso lo studio degli strumenti, dei trend e delle modalità comunicative offerte/imposte dalla rete, strutturava una propria narrazione, esplorando le possibilità interpretative delle figura del “creatore di contenuti” nell’epoca della riproducibilità digitale dell’opera d’arte.

 

Influencer e social media manager, sono tra le neo-professionalità emerse con la nascita e lo sviluppo del web 2.0 e dei nuovi media digitali: attraverso l’imitazione, la parodia e il “verso” a queste etichette — dichiarandone quel distacco ironico che ne permette l’osservazione e l’indagine — ho tentato di interpretare un ruolo, di assumere una posa, il cui scopo non è stato nient’altro che dimostrare la natura spettacolare e d’intrattenimento di tanta produzione artistica contemporanea; e di come la consapevolezza e la comprensione di argomenti come l’autoreferenzialità e riflessività su sé stessa dell’arte — nonostante la storica critica istituzionale di cui probabilmente la memetica artistica è erede —  possano essere ancora essenziali e utilizzabili percorsi di esplorazione, argomentazione e contenuti del proprio lavoro.

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